I ritratti offrono una chiave di lettura del lavoro di Agnese De Donato: quella di una sintesi della quotidianità a equilibri minimi, con gli amici che entrano, si siedono, si alzano, se ne vanno, custoditi però gli uni accanto agli altri, nella memoria di una giovinezza perenne. Le foto, nella loro asciutta rapidità di scatto, tesa a sottrarre anziché incorporare, per approdare a una inedita cronaca formale di segni e gesti, […] attestano questa impressione. […] Si palesa evidente quanto la meta di Agnese eluda ogni manifestazione ferma al suo solo significato, e comprenda vena comica e vena caustica, […] pronta a scavare in recessi inaccessibili per convertire la desolazione in risorsa espressiva, in pagina di autentica poesia. Ecco, allora, Carlo Levi e un gesto tra sigaro e mantello, quasi stesse per uscire dalla sua casa di Aliano, Natalia Ginzburg e il medaglione, Valentino Zeichen e il gatto, Ezra Pound e il bastone, Libero De Libero e la sigaretta accesa sul terrazzo di Sinisgalli, […] le mani in parallelo di Alberto Moravia. […] Agnese non guarda, si fa guardare, anche quando fotografa, quasi dovesse evocare affetti ai quali nulla sarà più concesso, con i quali non sarà più necessario scendere a compromessi. È un modo per dilatare la realtà di quel momento, con distacco e totale indipendenza che fa pensare a Kiki de Montparnasse che ritrae Man Ray e non il contrario, in quel contesto urbano, lì dove ogni volta, proprio come negli anni Venti, si celebra un rito e l’immagine degli amici è la rappresentazione della propria esistenza. Come si stesse a significare, dopo le tante peregrinazioni di questi anni, a chi si è girato e a chi sta andando via: ehi, io sono ancora qui, ancora tra voi.
Giuseppe Appella
(dal catalogo della Mostra "Anni '70, io c'ero". 2017, Roma)
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